Il primo spettacolo dopo la fine del mondo

20 luglio 2020.

Complice la bella stagione fioriscono i palchi all’aperto, in cui le disposizioni di sicurezza sono più accessibili, rispetto alle stringenti regole degli spettacoli al chiuso. E in tutta Italia compagnie teatrali, artisti, performer e chiunque calchi un palco per vivere, annunciano con fierezza “I primi spettacoli dopo il Lockdown”.

In realtà, i teatri sono ufficialmente riaperti dal 15 Giugno. In pochi, tuttavia, sono stati in grado di andare in scena. L’impossibile costrizione imposta dalle norme di sicurezza sul palco, il limite al numero e alla disposizione degli spettatori, l’impossibilità di provare durante la quarantena… per non parlare dell’incertezza economica stessa: andare in scena quando il pubblico ancora esita di fronte al babau del virus, che è ancora in giro a ululare nella voce delle ambulanze e a colpire alle ginocchia il desiderio di normalità.

Qualcuno però ha deciso di urlare un appello. Di alzare una bandiera per dire al mondo che il teatro e lo spettacolo dal vivo ci sono ancora, più vivi che mai. E non intendono mollare.

Il teatro Menotti, investito in pieno dall’emergenza sanitaria appena dopo aver vinto una battaglia burocratica che rischiava di trasformarlo in un parcheggio, ha lanciato una scommessa e ha vinto.

Ci piace pensare che abbia scommesso sulla fame di teatro del pubblico milanese, programmando uno spettacolo alle 00.01 del 15 Giugno. Il primo spettacolo dopo la fine del mondo.

Far Finta di Essere sani, per la regia di Emilio Russo

Teatro canzone, Gaber e Luporini, spettacolo uscito con omonimo disco di Giorgio Gaber nel 1973. Per l’occasione arrangiato più come concerto, conserva il fascino del teatro fatto bene. I testi attualissimi di Gaber, la voce potente e dolce di Andrea Mirò che spezza il cuore e un attimo dopo ti solleva da terra, il sound accattivante di Musica da Ripostiglio

E poi Enrico Ballardini.

Enrico Ballardini: attore, cantante, musicista, regista.

Il vostro umile redattore ha conosciuto Enrico prima ancora di conoscerlo. Lo ha visto in scena in vari teatri milanesi molte più volte di quanto ricordi. E viceversa Enrico ha assistito almeno ad uno spettacolo di Teatro dei Lupi (per quanto ne sappiamo)

Attore, regista, autore, musicista e cantautore. Sfiora la Paolo Grassi di Milano, ma trova la propria palestra formativa d’elezione con Claudio Orlandini. Approfondisce e trova mille nuove sfumature con Danio Manfredini, César Brie, Tahdashi Suzuki, Lola Cohen e altri. Perché è difficile che resti fermo…

Infatti, oltre ad aver lavorato con alcuni dei più grandi registi, decide di coprire, e con successo, anche il ruolo regista. Grazie alla regia trova nuovi canali per le proprie idee e per veicolare la propria passione.

Inoltre, con Giulia D’Imperio, fonda la compagnia teatrale “Odemà”, pluripremiata e ormai riconosciuta realtà di eccellenza in ambito milanese e non.

E poi ancora cinema, film, sceneggiati e sitcom… Lo avrete probabilmente visto ne Il capitale umano di Paolo Virzì, film vincitore del premio David di Donatello del 2014 come miglior film.

Un artista appassionato, energico, inesauribile ed entusiasta. In qualche modo, è davvero un Gaber del 2020, con la sua chitarra, la sua allegria contagiosa e la capacità di veicolare testi intensi, col sorriso.

Noi ci siamo andati, allo spettacolo della mezzanotte. Accaparrandoci, per assoluto colpo di fortuna, gli ultimi tre posti.

La scommessa di Emilio Russo è vinta. I 120 posti del Menotti in versione Royal Virus sono tutti esauriti. Ci accoglie Emilio stesso. Ci spiega le difficoltà, le paure, i limiti che hanno tentato di superare per regalarci quell’ora e spicci di pura bellezza. È felice, emozionato.

Chi vi scrive ci ha visto anche un velo di malinconia, un velo di rabbia per quel “avrebbe dovuto essere”. Ma, forse, sono solo fantasie da cantastorie.

Poi Enrico entra in luce e si siede sul palco. Inizia lo spettacolo. Noi, assieme a lui, riscopriamo la gioia e la potenza di un attore armato della propria memoria, della voce e del corpo, che senza rete e senza filtri, in tre dimensioni, si regala al pubblico.

Quanto ci mancava tutto questo! Quanto ci mancava il Teatro!

Enrico si muove sul palco entro spazi limitati, nel rispetto della distanza, nel rispetto delle norme sanitarie. Gioca con questi limiti, li usa per dare forza al testo, che assume così nuove forme e sfumature inattese. E poi canta, suona, duetta.

È inesauribile (l’abbiamo già detto?). Trova il modo, anche chiuso in queste barriere, di rompere la quarta parete e donarsi a noi anima e corpo.

I Musica da Ripostiglio, quasi a mostrarci quanto è dura lavorare in queste condizioni, passano a suonare, tutti insieme, lo xilofono. Tutti e quattro. Uno accanto all’altro.

Per poterlo fare escono di scena e ritornano con la mascherina.

Li guardiamo tutti stralunati. La scena è surreale, ma noi capiamo. Ma non capiamo. Non vogliamo accettarlo eppure dobbiamo.

Dopo lo spettacolo siamo contenti, abbiamo cantato con loro, battuto le mani e i piedi a tempo (chi più chi meno. Io meno), ci siamo alzati in piedi ad applaudire e abbiamo chiesto il bis.

Bello. Bellissimo.

Eppure in qualche modo una mezza misura. Anche questo è teatro come dovrebbe essere il teatro: uno specchio sulla società, che fa pensare.

E abbiamo voluto pensare e riflettere di tutto ciò. Abbiamo voluto pensarci su proprio con Enrico, che è stato così gentile da rispondere a qualche domanda per la Tana dei Lupi.

Enrico, la prendiamo da lontano: come hai vissuto questi mesi assurdi? Lockdown, quarantena, le fasi, i decreti, le autocertificazioni…

Ho aspettato.

Raccontaci come è stato tornare in scena il 15, il primo spettacolo dal vivo in Italia dall’istituzione del lockdown

Ho realizzato che stavo tornando in scena la sera in cui mi stavo recando a teatro per la prima. Ho realizzato che fosse il primo spettacolo ad andare in scena in Italia … forse non l’ho ancora realizzato; ma le persone erano felici almeno quanto lo ero io. C’era qualcosa di surreale… emozionante… pericoloso … ma rassicurante… ineluttabile … imprescindibile … naturale … randagio.

Quali spettacoli, secondo te, possono essere messi in scena efficacemente in queste condizioni? E cosa ne pensi dell’idea di adattare le regie alle norme di distanziamento?

Quello che è successo con la riapertura dei teatri è stato un segnale importante, ma da un punto di vista che voglia comprendere l’esigenza artistica, stiamo solo facendo finta di essere sani. L’arte ha sempre fatto di necessità virtù, anche e soprattutto in periodi storici ben più pericolosi. Questo però non può diventare il nuovo modus operandi. Quando l’arte è diretta da delle costrizioni o divieti, non è libera. E se non è libera, non è arte.

Lo spettacolo dal vivo ha subito un durissimo colpo in questi mesi: secondo molte voci autorevoli, abbiamo oggi l’opportunità di ripartire sanando alcune vecchi problemucci. Penso, ad esempio, a norme mai aggiornate  dal punto di vista normativo e fiscale: cosa ne pensi?

Il problema è vasto. Forse si ha l’opportunità di far capire alla massa che chi insegue il sogno di fare un lavoro che ama, ha il diritto di non essere per questo punito con precarietà e un mancato riconoscimento della categoria.

Credo però che anche noi lavoratori dello spettacolo, dovremmo fare una profonda riflessione su cosa sia lo spettacolo oggi, cosa sia fare arte, cosa stiamo proponendo soprattutto artisticamente: intrattenimento? Arte? Politica? Espressione umana? Tutto questo insieme? Niente di tutto questo?

Io non sono ancora sicuro che fare l’artista sia un mestiere come gli altri, come non lo è fare il politico: un politico che è politico di mestiere è un politico ricattabile, le sue decisioni potrebbero essere modificate facilmente. Per un artista non credo sia molto diverso… con questo non sto dicendo che l’arte non abbia un prezzo … ma questo prezzo è la vita … “il pubblico dovrebbe pagare con la vita… allora sì …” (cit Carmelo Bene).

Cosa ti aspetta ora? Quali progetti per il futuro?

Il dramma che viviamo oggi, risiede proprio nell’impossibilità di progettare: oggi facciamo “ipotesi”, ma “nel doman non v’è certezza…”. Personalmente, ora, mi aspetta la continua ricerca di una pace, di quella pace che da campo libero all’osservazione della vita, che a sua volta crea nuovi turbamenti, che a loro volta creano nuove esigenze da gridare al mondo… anche se ancora non so perché ciò accada. Forse perché in un mondo dove sembra così difficile incontrarsi davvero, la performance dal vivo sembra rimasto l’ultimo baluardo al quale aggrapparsi per far accadere qualcosa alle persone (sia a coloro che sono sopra, che a coloro che sono sotto un palcoscenico). Per il resto siamo in attesa di vedere cosa accadrà… e cosa cadrà… ma qualcosa accade e cade sempre, basta farlo accadere… cercando il disequilibrio… e cedere, cadere, rialzarsi e saltare… delirare.

Ci prendiamo le parole di Enrico e affrontiamo quest’estate d’incertezza. Sperando di poter lavorare a settembre, di poter aprire le aule dei corsi e le sale degli spettacoli.

Ma senza saperlo veramente fino a quando non accadrà, o cadrà o delirerà.

Alberto Corba

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