Il filo sottile che lega la letteratura dappoco al Giappone patriarcale
Il vostro amato redattore questa settimana approfondisce un tema che, per spinosità e pruriginosità, supera perfino le decisioni del nuovo governo.
Maschilismo, patriarcato e uguaglianza di genere.
Stimo un 50% di lettori che sistemano le chiappe sulla sedia, a disagio. Il 20% di voi invece prepara le armi da fuoco, perché non si sa mai! Un ulteriore 25% si sta già informando sulla mia posizione perché “te vengo a cerca’” e un residuale 5% abbandona la lettura per affrontare l’ennesimo livello di Candy Crush.

Per un miglior comfort del 50% del mio pubblico, cominciamo con i fatti.
Notizia battuta dalle agenzie il giorno 4 febbraio dell’anno domini 2021.
Il presidente del comitato olimpico di Tokio 2020, Yoshiro Mori, 83 anni, dichiara di non volere donne alle riunioni perché parlano troppo.
Per correttezza riporto un virgolettato delle dichiarazioni di Mori.
“Le riunioni del consiglio di amministrazione con la presenza di donne richiedono più tempo. […] Non sanno stare al loro posto. […] Se una di loro alza la mano per intervenire, le altre pensano di essere obbligate a rispondere, e alla fine tutte quante si ritrovano a parlare.”
Il Giappone ha, a quanto pare, i suoi problemi nell’accettare l’ingresso nel ventunesimo secolo. Ma i giapponesi sono intrinsecamente un popolo che mette le pezze dove qualcosa si strappa.
Sette giorni dopo, il 12 febbraio, Yoshiro Mori rinuncia ad accampare scuse e si dimette.
Al suo posto viene nominata una donna. Seiko Hashimoto, una donna realizzata e forte, medaglia di bronzo nel 1992 per il pattinaggio di velocità su ghiaccio.

Tutto bene. Sono rientrati i canini di chi pretendeva giusta, giustissima giustizia.
Passano altri sette giorni (occhio ai tempi, avido lettore).
Notizia battuta da Ansa alle 10.31 di oggi 18 Febbraio.
Toshihiro Nikai, Leader del partito al potere, sempre nella terra del Sol levante, dichiara che le donne sono le benvenute alle riunioni di partito, perché
“è importante portare una prospettiva femminile”.
Noi Jappofili esultiamo per la mossa progressista di Nikai: è quasi coetaneo di Mori ed è quindi la prova che una certa generazione di uomini di potere può abbracciare una visione più moderna delle differenze di genere.
L’entusiasmo dura il tempo di una pausa caffè giapponese.
Le donne che possono partecipare alle riunioni sono 5 e non hanno diritto di parola. Nikai spiega con saccenza che
“è importante (per loro, le donne) rendersi conto di quello che succede, dare un’occhiata, tutto qui”.
Ma allora il Giappone è senza speranza? E noi Europei? Anzi no, gli europei pare non esistano: sono creature fantastiche come i Leprecauni e i troll di palude. Un costrutto mentale per spiegare un concetto altrettanto fantastico come l’Unione Europea.
Ma noi italiani?
Prima di far accomodar madama depressione in salotto, facciamo un salto di diecimila km e torniamo a Milano.
Facciamo una zoomata vertiginosa e con l’occhio di un drone andiamo a beccare un buffo individuo che cammina spedito per via Solari in direzione piazza Napoli.

Sotto la tesa del borsalino in similpelle lo sguardo del pedone è fisso sull’ebook reader. Ogni tanto alza la testa per evitare altri passanti, automobili e tram, ciclisti.
Improvvisamente alza gli occhi al cielo e il drone, finalmente soddisfatto, ne inquadra il volto, ringhiante di rabbia divina, identificandolo come il vostro prode redattore, diretto alla sua cuccia milanese a Iglù.
L’unico mistero da svelare, a questo punto è: Cosa ha irritato il placido umore del vostro affezionatissimo? E cosa c’entra un povero autore di teatro con il trucido gotha patriarcale giapponese?
Sto leggendo un libro che ebbe un discreto successo nel 2013. Discreto ma internazionale, tanto che nel 2018 ne trassero una serie tv con la mascella di Patrick Dempsey come protagonista e Virginia Madsen nel ruolo della vecchia rimbambita provincialotta.
La verità sul caso Harry Quebert
Il libro è gradevole. Scorre bene ed è già un bel pregio. Si vede che è stato scritto da uno che con le parole ha dimestichezza.
Non è un libro che traccerà un solco nella storia della letteratura. E non è un difetto.
Il vero abisso in cui cade il romanzo è l’approssimazione nel caratterizzare uomini e donne.
I personaggi femminili sono tutti caratterizzati da una incontrovertibile stupidità. Ci sono madri ottuse, figlie oche, amiche gelose e pettegole, sordide approfittatrici. Nessuna che si elevi oltre il ronzio dell’ambientazione per dire la propria.
Una massa indistinta di odiose zitelle a caccia di marito e mogli deluse dalla vita matrimoniale.
I personaggi maschili sono pallidi e inconsistenti. Sono remissivi e sconfitti. Non servono nemmeno da carta tornasole per i profili femminili: sono inutili marionette in balia del vento, o, più spesso, delle trame diaboliche di qualche donnaccia di malaffare per nulla timorata diddio.
Non hanno un carattere, non hanno valori. Il protagonista ogni tanto si impone, in toni finti da eroe da rivista, anche se per lo più resta in disparte a svolgere il suo ruolo di narratore.
Non credo, onestamente, che Joël Dicker abbia intenzionalmente sottinteso una discriminazione sessista come fil rouge del romanzo.
Sembra al vostro redattore che il nostro sapiente Dicker abbia creato un mondo in cui sono tutti rincoglioniti, in modo da evitare di affrontare il problema del confronto intellettuale tra generi. Che di certo crea rogne e polemiche indesiderate per un romanzetto destinato al mainstream dei lettori annoiati.
Però mannaggiaggjJoël! Hai scritto una storia d’amore! E per di più una storia tra un uomo di 35 anni e una ragazzina di 15. Un amore complicato, impossibile come molti amori letterari.
Ora, in nome di King, Gaiman, Shakespeare, Scott Fitzgerald, Goethe e tutti gli altri semidei della parola! L’amore è un confronto! È un incastro tra pezzi differenti che per magia si trovano l’un l’altro!
Scrivere d’amore, di qualunque amore, tra qualunque sesso e qualunque sesso, è scrivere delle diversità che trovano unità.
Invece i due protagonisti di Dicker si amano perché c’è l’ amore: e questo basti a tutti. Il lettore assimila la nozione dell’amore dalle dichiarazioni dirette e indirette dei due.
“La amo”
“Pensavo sempre a lei”
“Ti amo”
Sì, ok. Si amano, ma perché? Cosa ama lui di lei e lei di lui? In che modo e in che momento hanno scartato infatuazione, attrazione e desiderio, e hanno deciso che fosse amore?
L’amore è quel pensiero che dà rispettabilità e rispetto ai personaggi. Caro Dicker, il cui nome ispira battutacce: è il tuo momento di assumere la tua responsabilità di artista.
A nulla servono, Joël, gli inverosimili e contraddittori sensi di colpa di lui, né la debole e irreale ottusità di lei. I tuoi personaggi si amano senza senso. Leggi Blackbird di David Harrower: poi parliamo di amori impossibili e di come si scrivono.
E se non ti assumi la tua responsabilità artistica, se scrivi d’amore e non scrivi di rispetto e diversità, stai rinunciando alla possibilità di far riflettere i tuoi lettori.
La società cambia al ritmo che la cultura riesce a sostenere
Finché accetteremo prodotti culturali pavidi, preoccupati del politicamente non offensivo, ancorché godibili, faremo della cultura lo sgabuzzino del tempo della vita. Quel posto dove mettiamo le ore che non sappiamo come occupare.
Dall’arte e dalla cultura deve nascere il confronto costruttivo, che dopo un lungo travaglio porta a mettere in discussione i vecchi baobab in decomposizione: come il patriarcato, l’omofobia e l’intolleranza di genere.
E molti altri che ancora ci rubano aria buona in discussioni interminabili.

Se due eminenti uomini di potere hanno sentito di poter esprimere ad alta voce opinioni medioevali, è perché non avevano coscienza della consapevolezza culturale del nostro secolo.
Nulla di ciò che hanno letto, visto o ascoltato ha parlato loro in modo abbastanza convincente di rispetto.
È compito della cultura immaginare un mondo di rispetto, per mostrare al pubblico un mondo di differenze che si completano.
E, perché no, un mondo di amore: in fondo non c’è differenza.
A.C. – Editoriale 18 Febbraio 2021