Cosa è successo alla tridimensionalità della narrazione?

Ogni saggio, ogni scuola di storytelling pone la questione in un modo diverso.

Qui, per praticità, atteniamoci al modello delle tre dimensioni e diciamo che una narrazione interessante, indipendentemente dal mezzo espressivo, si comporrà di altezza, larghezza e profondità.

Ph. By See1Do1YTeach1

L’altezza della storia è, in poche parole, il livello del contenuto. E’ quello che differenzia una vicenda umana e personale dalla cronaca di una guerra. L’altezza della storia, di per sé, non ci dice se la storia è interessante.

Romeo e Giulietta è una storia d’amore tra adolescenti. Una volta distillata a livello narrativo, è storia bassa.

Game of Thrones è una storia di politica e relazioni internazionali. Insomma una storia alta.

Ph. Wyire media

La larghezza o ampiezza della storia è il suo respiro, quanti personaggi, quante linee narrative. L’ampiezza è quella che, ben gestita, cattura di più il destinatario della storia: l’ascoltatore, il lettore. Insomma il pubblico. Nemmeno l’ampiezza della storia, di per sé non ci dice se la storia è interessante.

Anna Karenina è una storia ampia. Il piccolo principe è una storia poco ampia. Giusto per non confonderci con il numero delle pagine: Ulysse di Joyce è una storia poco ampia.

La profondità è il livello di indagine, quanto a fondo la storia scava, quanti passaggi concettuali ci espone e quanto analizza, di quello che accade.

Anche la profondità della storia, di per sé, non ci dice se la storia è interessante.

Ph. By Fulvio Baccaglini

Se è pur vero che nessuna di queste tre dimensioni ci garantisce che sarà una bella storia, nessuna delle tre può mancare. O la storia sarà noiosa.

La storia di un ragazzo che si sveglia e si veste non è interessante. Ma se quel ragazzo fosse Romeo? Se in quel giorno dovesse fingersi morto per ricongiungersi a Giulietta?

Se quel ragazzo fosse il re e indossasse abiti invisibili di fronte a tutto il popolo?

Le tre dimensioni danno volume alla storia narrata, la distinguono da una semplice e sterile catena di eventi. Sono la base per avere bei libri, che poi bisogna vedere se sono scritti bene; per avere bei film, che poi vanno scritti, girati e interpretati; belle serie tv ecc.

Il vostro umile scribacchino avverte una preoccupante nonchalance nel gestire le tre dimensioni della narrazione. Una superficialità trasversale ai media: cinema, televisione, letteratura e – ahinoi – anche teatro!

Il cinema ormai è diviso tra alto e profondo e basso e largo. La letteratura lascia sempre più l’altezza tra le mani fredde del simbolismo più estremo, generando storie profonde, ma strette.

Molte (non tutte) le serie tv ci vengono presentate molto larghe, alcune alte, altre basse… e la profondità sparisce.

E il teatro. Il povero teatro. L’amore unico e vero della vita del vostro affezionatissimo. Continua ossessivamente a difendere un modo di narrare concentrato sulla profondità, incurante soprattutto dell’ampiezza.

Ph By Andrew Seaman

Ci è successo sotto al naso

Nel momento in cui siamo diventati niente più che un audience targettizzato, i produttori di storie hanno, sempre più, riempito i nostri palati. Dopo averci profilati con precisione, ci nutrono solo dei sapori che la statistica dice più adatti a noi.

Storie di famiglia fatte solo DI FAMIGLIA. Avventure fatte solo di avventura. Noia su noia su noia, insaporita con aromi artificiali.

La cultura della società così impoverisce, e chi ha la fortuna di aver letto o visto almeno una parte dei grandi classici si trova condannato a confrontare le storie attuali con le storie elaborate in tempi pre-social. Le storie che si preoccupavano di raccontare qualcosa, di essere avvincenti e interessanti, nate col solo umile scopo di essere belle storie. Soppiantate da prodotti fatti per compiacerci, per vestirci addosso come un cappotto che nasconde i chili di troppo, e non ci allerta mai di smettere di ingozzarci.

Viviamo in un’epoca di figurine. Di immagini bidimensionali, poco stimolanti, che appiattiscono noi stessi, la nostra capacità di ragionare, di interpolare le informazioni e di raccontare storie.

Forse il primo passo e prendere coscienza della situazione. Il secondo, sempre con le ipotetiche del caso, è scegliere meglio le storie di cui fruiamo.

E il terzo passo è continuare a scrivere, filmare e raccontare. Sfidando la profilazione, uscendo dal target. Un salto nel vuoto, con fiducia solo nella capacità degli uomini di innamorarsi delle belle storie.

AC Editoriale 30/11/2020

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