Impegno e creatività nell’arte
Il vostro umile redattore vanta una quantità di competenze inutili ed un ristretto novero di skills con un valore. In nessuna delle due categorie cade la conoscenza musicale.
Ciò non di meno, attraverso un’odissea di esperienze che non pertiene a queste pagine, ho raggiunto un mio gusto e delle preferenze di cui vado fiero.
Quel demonio di Spotify, se ne è accorto. E con un algoritmo che alle mie orecchie somiglia alla magia, ogni settimana mi suggerisce brani che si suppone siano di mio gradimento.

Per i meno avvezzi ai sotterfugi del demonio musicale (Spotify, per l’appunto), informo che ogni settimana gli utenti sono sottoposti alla tentazione suprema di una compilation realizzata ad hoc dal suddetto algoritmo.
Questa settimana la mia Discovery Week realizzata apposta per me è stata una delusione. Mi sono subito domandato se miei gigabyte, metafora digitale di capro sacrificale, immolati all’altare digitale dell’applicazione ogni giorno, non siano sufficienti.
Poi ho ascoltato meglio e ho capito dove sta realmente il problema.

Succedono cose belle quando ci ricordiamo di ascoltare
La mia discovery week è così scarsa perché è piena di cover.
Avrei apprezzato di più le tribute band, perché sono progetti che dichiaratamente celebrano una band: un’atto d’amore e di stima. Degnissimo e giustissimo, come ogni atto d’amore.
Invece no. Niente Tribute band: sono pieno di cover. Che è bene distinguere tra cover buone-e-giuste e cover era-meglio-di-no. Alcune sono anche meglio dell’originale, altre ne sono brutte copie.
Le brutte copie sono un problema relativo: un deciso click su “elimina dalla playlist” e Spotify (ovvero il satana musicale) comprende il suo errore.
Il vero insulto sono le vie di mezzo. Versioni blande di brani famosi, in cui tutto è identico all’originale tranne la voce del cantante. Magari suonato più lento.
Il vostro redattore si è trovato invaso da questi insulti. Queste vie di mezzo, né buone cover né tribute band.
Sono insulti non solo alla creatività del musicista, che stai stropicciando e bistrattando, ma alla musica stessa. Non scordiamoci mai che l’artista ha una responsabilità nei confronti del suo pubblico ed una, altrettanto pressante, nei confronti dell’arte.
Fear of the Dark come la fanno i Maiden l’hanno già fatta gli Iron Maiden. Con buona pace del faccione scheletrico di Eddie, è un fottuto capolavoro. Con quel testo e quegli accordi, Bruce Dickinson ha già detto tutto quello che c’era da dire.
Che l’arte prenda vita davanti a uno spartito, a una tela o su un palco, la responsabilità è la stessa. L’artista è interprete: utilizza attrezzi e strumenti di propria scelta per filtrare la realtà e trasmettere un messaggio calibrato sulla propria sensibilità.

Ispirarsi humanum est, copiare autem diabolicum
Nulla di male, ad esempio, nel prendere un bel film e farne uno spettacolo teatrale. Purché l’incauto drammaturgo si ricordi che il film è stato scritto per lo schermo e che gli attori saranno sul palco privi di montaggio, primi piani, effetti speciali… tuttalpiù avranno un bel piano luci fatto come si deve.
Lecito,( anzi, benvenuto! ) il remake di un film o di una serie TV. Ma che non sia, di grazia, una brutta copia! Che sia contestualizzato, che l’idea di fondo sia uno strumento per l’espressività del regista.
E se qualcuno si sta chiedendo come si fa, beh: si fa! E si può fare…
Ascoltate Hurt, pezzo in origine dei Nine Inch Nails, nella cover di Jhonny Cash.

Guardate BladeRunner, trasposto in celluloide da Il cacciatore di androidi di P.K. Dick. Guardate il primo con Harrison Ford, del 1982 per carità del cielo!
Guardate Profumo di Donna del 1992 e vedrete come il capolavoro del 1974 di Dino Risi, già allora tratto da un libro, è stato reinventato splendidamente per gli anni ’90, per New York e per il volto infuocato di Al Pacino.
Capito ora?
Se non aggiungi nulla del tuo stile, ti stai appoggiando a chi prima di te ha avuto l’idea. E quell’idea non è più uno strumento per la tua arte: è la vittima del tuo timore, o della tua arroganza, o della tua pochezza.
Perché un artista vero ha tutto il diritto di prendere ispirazione ovunque gli garbi, l’arte da sempre ha una componente, consapevole o inconsapevole, di rielaborazione del passato, dei padri ispiratori, degli archetipi, del vissuto dell’artista e di chissà che altro è seppellito nella mente dei creativi.
Tuttavia, se la rielaborazione diventa una brutta copia, stiamo insultando l’originale e di fatto stiamo svendendo noi stessi. È una forma di accidia. Una pigrizia creativa che sfrutta il lavoro altrui senza l’impegno necessario
Oppure siamo una tribute band e in quel caso non c’è nulla di male.
A.C. – Editoriale 05 Febbraio 2021