Si parla, tra le altre cose, di immagini, diritto all’immagine e scelte: ho quindi scelto di pubblicare questo articolo privo di immagini.
Questo articolo è frutto di una profonda riflessione, iniziata attorno a un post di Laura Carioni, amica, collega e libera pensatrice. Il post originale è : qui
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10222426693923420&id=1450876105
Una piccola riflessione su momenti e decisioni, la terribile storia della maestra di Torino. E tutte le altre.
È stato detto tutto, troppo, sulla storia di Torino. Una vicenda di miseria morale e umana, che si affianca a troppe storie analoghe. Non le nominiamo, non lo facciamo più, per favore. Limitiamoci a ricordarle e a rifletterci su.
L’editoriale di oggi lo dedico a queste storie, ed esce eccezionalmente di mercoledì. Perché oggi è mercoledì 25 Novembre.
In ciascuna di queste storie, un incredibile numero di persone diverse ha preso un incredibile numero di decisioni sbagliate.
Verrebbe da approfondire il concetto di giusto e sbagliato: sono universali? sono assoluti? Assumiamo, per comodità, che giusto sia quello che rispetta la dignità della persona, il proprio diritto di scelta sul proprio corpo e la propria immagine, sul frutto delle proprie capacità fisiche e intellettuali.
In questo senso, per non confonderci, non diremo che le decisioni non giuste sono semplicemente sbagliate. Useremo, invece, il termine “ignobili“.
Smarcato questo assunto, proviamo a tracciare un modello del processo decisionale. Non perfetto, magari, ma sufficiente per essere la nostra convenzione in questa sede.
Diciamoci, quindi, che ogni scelta è fatta di un momento di riflessione e di un momento di attuazione: nel primo valutiamo le alternative, le conseguenze, i pro e i contro; nel secondo momento mettiamo in pratica le azioni che la decisione implica. O ci proviamo, a metterle in pratica, in conflitto, come siamo, tra le difficoltà e le imperfezioni dell’esistenza umana.
Tra il primo e il secondo momento, c’è l’attimo in cui la decisione viene presa. Una frazione di secondo in cui il nostro cervello passa da “prima” a “dopo”, da preparazione ad attuazione. In quel minuscolo istante vive l’istinto, e nell’istinto prendono forma tutte le architetture del nostro sistema di valori.
In quell’attimo decidiamo di mangiare una fetta di torta in più. In un battito di ciglia afferriamo il bicchiere, che non dovremmo bere. Ci lanciamo nel vuoto, da un trampolino, da un aereo o verso un bacio.
In quell’attimo scoccano alcune delle più meravigliose scintille della natura umana. In quell’attimo nascono alcuni degli orrori più profondi. Lì prendono vita i sogni e sempre lì vivono gli errori più tragici.
Se il modello è corretto, gli esseri umani, di fronte ad un bivio, sono come equilibristi su un filo, legato da un lato alla ragione e dall’altro all’istinto. Quando devono scegliere guardano da entrambi i lati e sperano di non cadere nel vuoto di una decisione ignobile.
Le esperienze, l’età adulta, la cultura, l’educazione aiutano ad affinare la capacità di ragionamento, in alcuni casi anche a perfezionare i meccanismi dell’istinto. È così che diventiamo più bravi a prendere decisioni, sbagliando e riprovando, studiando e sperimentando. In questo modo, in pratica, miglioriamo il nostro equilibrio e la nostra tecnica.
Ma ci sarà sempre una componente legata alla fortuna, correlata alle informazioni di cui non disponiamo. Resta sempre una parte del gioco in cui si tirano i dadi e si spera per il meglio.
Lassù sospesi nel vuoto ci sono il vento, l’umidità della corda, il capogiro, il crampo che non ti aspetti, o anche solo il riflesso del sole sugli occhiali di un passante, che ti acceca per un unico fatale momento.
La vicenda di Torino risale al 2018, sono passati due anni. Un infinito numero di momenti e innumerevoli scelte. La domanda che mi tormenta è:
Come è possibile che un numero così alto di scelte siano tutte ignobili?
Anche solo per statistica, qualcuno avrebbe dovuto prendere una via più virtuosa. Se non poggiandosi all’istinto, almeno al ragionamento.
Se dessimo la colpa al caso dovremmo far valere i principi della probabilità per cui, dato un numero sufficiente di lanci di moneta, la percentuale di testa e croce tende all’equivalenza. E non è così.
Purtroppo il modello che abbiamo assunto non è completo e quello che manca, da un lato, spiega l’anomalia statistica, dall’altro segna i limiti della struttura morale della nostra società.
Al modello dell’equilibrismo manca di considerare l’importanza che attribuiamo alla decisione. A quale altezza siamo sospesi? Quanto è importante non cadere?
Comprare casa: è la casa dove cresceranno i tuoi figli? O è l’ennesimo quadrilatero di mattoni, che affitterai?
Donare il midollo: per un parente? O per uno sconosciuto? Quanto è importante salvare quella vita?
Smettere di fumare: è solo una brutta abitudine o ti hanno operato ai polmoni?
Violare i diritti di qualcuno. Attaccare la sua dignità.
Quanto è importante quella persona? Ha un ruolo quello che hai condiviso, con quella persona? Conta quanta intimità avete avuto? Conta quanta fiducia hai ricevuto?
Contano gli occhi della comunità? La nostra moderna comunità, allargata, progressista, interconnessa e social-virtuale, che quanto a privacy e diritti si comporta come un paesello contadino dell’alto medioevo.
La cronaca degli eventi ci dice che violare i diritti fondamentali di una persona non era una decisione importante, ed è stata presa con leggerezza, senza cura delle conseguenze. Non aveva peso e non ci si aspettava avesse peso per la società. Cadere da quel filo non era un gran pericolo: un filo basso, rasoterra.
Questo è molto più grave di una sola decisione sbagliata. O di mille decisioni sbagliate. È un cancro. È una massa di persone certe che il proprio comportamento ignobile non avesse peso, perché la persona, intrappolata in questo mangano, essa stessa, non aveva peso.
E questa persona, ancora una volta, è una donna.
La vicenda di Torino scoperchia molti vasi di Pandora, in realtà voragini che erano lì a fissarci da decenni. Abissi che nessuno si è preoccupato di tappare: il ruolo della donna, la parità di diritti e trattamento, la sicurezza fisica, morale, culturale e intellettuale.
Non sono problemi di oggi. Sono vecchie questioni che ci indicano a quale altezza abbiamo fissato il filo delle decisioni che riguardano le donne.
Le donne contano meno nella nostra società. Le decisioni che riguardano le donne sono meno importanti e vengono prese, a livello istituzionale come in molte realtà individuali, con più leggerezza.
Non si tratta solo di garantire gli stessi diritti, né di affrontare, una per una, le numerose disparità di trattamento. Quelli sono i sintomi di un male più profondo e ne avremo sempre di nuovi.
Perché la società evolve, il mondo cambia, la tecnologia introduce infinite mutazioni nelle circostanze quotidiane. Se affrontiamo i problemi uno alla volta non saremo mai al passo, le donne resteranno sempre indietro, e con loro tutte le categorie che il sistema di valori attuale non protegge.
È necessario un radicale abbattimento delle differenze di peso, in modo che le decisioni che riguardano loro abbiano la stessa importanza. In modo che non si parli più di loro e noi, di questi e quelli, ma solo di esseri umani.
Ogni filo che riguarda un essere umano dovrebbe essere posto alla stessa altezza.
Fino a quando questo non accadrà, continueremo ad assistere ad un numero assurdo, statisticamente ingiustificabile, di decisioni ignobili prese con leggerezza.
AC, Editoriale, 25 Novembre 2020